Covid-19 – Il piano pandemico c’era, ma la regione non l’ha implementato
Covid-19 – Il piano pandemico c’era, ma la regione non l’ha implementato. Ho approfondito il contenuto delle linee guida del Piano Pandemico regionale marchigiano risalenti al 2007 (DGR n. 1371 del 26 novembre 2007), che riportavano uno scenario molto allarmante rispetto agli impatti negativi che una pandemia avrebbe potuto provocare sulla situazione sanitaria regionale. Nel testo si afferma che applicando il software FluSurge 2.0 (elaborato dai Centers for Disease Control and Prevention statunitensi) è possibile la stima dell’impatto di una pandemia sulla capacità assistenziale degli ospedali per acuti: numero di ospedalizzazioni, mortalità ospedaliera, ricoveri in terapia intensiva, e utilizzo di ventilatori meccanici. La simulazione eseguita per ottenere il peggior scenario consentito dal programma (ipotizzando una singola ondata pandemica di 12 settimane con lo stesso tasso di attacco del 35%) evidenzia che il picco di ospedalizzazioni si riscontra nel corso della settima settimana di pandemia (massimo di 1300 ricoveri); si stimano complessivamente circa 9000 ospedalizzazioni; nella settimana di maggiore afflusso circa 300 persone necessiterebbero del ricovero in terapia intensiva e molte di queste richiederebbero l’utilizzo di respiratori meccanici; una simile pandemia potrebbe provocare un alto numero di decessi (compresi tra 1362 e 2998). Sulla base di queste stime, si può supporre che, il Sistema Sanitario Regionale e, in particolare, le unità di terapia intensiva, potrebbero trovarsi in difficoltà durante il picco epidemico per la durata di 2-3 settimane. In forza di queste previsioni risultava chiaro già 13 anni fa come fosse possibile mitigare l’effetto pandemico solo ed esclusivamente in presenza di una precisa organizzazione al livello territoriale e regionale, poiché tempistica e qualità degli interventi risultano essenziali.
Le tempistiche con cui si è sviluppata la pandemia sono le seguenti: 31 dicembre 2019 la Commissione Sanitaria Municipale di Wuhan (Cina) inviò una segnalazione all’Oms nella quale informava l’agenzia di avere registrato in tutta la provincia di Hubei un rilevante numero di casi di polmonite derivanti da cause ignote; il 20 gennaio la National Health Commission (NHC) cinese ha scoperto la trasmissibilità da essere umano a essere umano del nuovo coronavirus; i primi due casi di Coronavirus in Italia, una coppia di turisti cinesi, sono stati confermati il 30 gennaio dall’Istituto Spallanzani; il Governo italiano ha dichiarato il 31 gennaio lo Stato di emergenza, per sei mesi; il primo caso di trasmissione secondaria si è verificato a Codogno (Lodi) il 18 febbraio 2020. La prima ordinanza regionale emessa dal Governatore Luca Ceriscioli è del 25 febbraio.
Ho quindi depositato 3 interrogazioni in consiglio (n. 972/20 Coronavirus Covid-19: mancata applicazione del Piano Pandemico Regionale , n. 956/20 Corona Virus e piano pandemico regionale , n. 955/20 Corona Virus: azioni sanitarie regionali per il contrasto della diffusione della pandemia e per la cura dei contagiati) per sapere il motivo per cui nelle settimane intercorse tra i primi certificati dati relativi alla pandemia e i primi atti concreti di contrasto non si sono attuate le azioni indicate dal piano pandemico. Il piano, oltre a prefigurare l’agghiacciante scenario illustrato in precedenza (fino a 9000 ospedalizzazioni con 3000 morti), indica con chiarezza quali siano le azioni da intraprendere: dovevano essere già predisposti, aggiornati e provati i piani zonali di risposta alla pandemia e quelli di ogni azienda ospedaliera; dovevano essere fornite dettagliate linee di indirizzo sull’isolamento dei casi riscontrati; dovevano essere individuati specifici percorsi per i soggetti contagiati e a loro dovevano essere riservati appositi reparti nelle strutture sanitarie; doveva essere fatta la stima del fabbisogno aggiuntivo di dispositivi di protezione individuale (DPI); doveva essere fatta una stima del recupero di personale per fronteggiare l’elevato assenteismo lavorativo; il personale doveva essere specificamente formato.
A giudicare dalle difficoltà mostrate nella gestione organizzativa delle strutture sanitarie, dalla penuria di posti letto di terapia intensiva, dalla scarsità di ventilatori polmonari, dagli oltre 700 operatori sanitari positivi al Covid-19, dalla frenetica ricerca di nuovi posti letto e realizzazione di nuove strutture di emergenza, si è spinti a pensare che la Giunta non si sia basata sulle doverose conoscenze ed indicazioni pregresse contenute nel Piano pandemico di 13 anni fa, presentandosi sostanzialmente impreparata davanti all’avanzare dell’attuale emergenza. Dobbiamo modificare radicalmente il nostro assetto sanitario, non solo per migliorare la qualità e quantità dei servizi sanitari in “tempo di pace”, ma anche per fare in modo che tali emergenze da “tempo di guerra” non ci colgano ancora una volta impreparati.
Ecco l ‘articolo apparso sulla stampa.
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